Ragazze da appendere. Ora con quel termine pensiamo a ragazze in carne ed ossa. Sexy, magari che strizzano l’occhio. E lo stereotipo è ovviamente alla base di questa espressione, perché un presidente degli Stati Uniti usò manifesti “da appendere” per pubblicizzare le attività dello Zio Sam e convincere i giovani americani ad arruolarsi e combattere durante la Prima Guerra Mondiale. Sesso e guerra. Erotismo e violenza. Che binomi. I calendari sono nati lì. Oggi però arriva Tarin e trasforma il calendario in un oggetto di congedo, più che di arruolamento: le figure nella sua fotografia infatti più che coscrivere licenziano. Sono donne che sfidano senza alcuna voglia di convincere. Tarin capovolge la condizione e mette a nudo un sistema ritraendo il nudo di quei corpi. Disarma il vezzo autoritario e sfruttatore facendo il suo gioco, fa esplodere lo stereotipo interpretandolo, deprezzando la “virilità” fino a farla rimpicciolire e rimpicciolire e rimpicciolire ancora. Perché quelle donne sanno abitare il proprio corpo senza bisogno di istruzioni. Niente “Pin-up”. Questo calendario non si appende. Ti appende. (di Nicolas Ballario)
T.A.Z. Weblog Party
un nuovo "territorio mentale", che elude le normali strutture di controllo sociale
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