Nel dopoguerra italiano a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, la ricerca teorica diventa il distintivo di un gruppo di architetti e intellettuali che occuperà la scena culturale nazionale e internazionale per alcuni decenni, impiegando la scrittura nella pratica architettonica come strumento di riflessione e di innovazione progettuale. La generazione successiva, formatasi sui loro testi, sarà però «pronta a rinnegare le parole, le frasi e gli strumenti dei padri». È la generazione di Stefano Boeri, probabilmente l’architetto italiano più presente sulla scena mediatica attuale, ma anche fra i meno studiati. Il volume inquadra dunque il lavoro dell’architetto milanese in tutte le sfaccettature della sua molteplice attività di professionista, intellettuale, organizzatore di eventi e alla testa di varie istituzioni culturali. Nel corso degli anni, infatti, Boeri è stato direttore delle riviste «Domus» e «Abitare», attraverso le quali ha raccontato e comunicato l’architettura a un pubblico sempre più vasto, utilizzando un nuovo linguaggio mediatico che merita di essere esaminato approfonditamente. Il testo studia perciò il costituirsi, a inizio millennio, di una nuova tensione comunicativa, analizzando quindi lo sviluppo di un efficace metodo esplicativo del progetto, un metodo che si serve di schemi narrativi, di neologismi e di una vera e propria «overdose di varietà» visiva: tutte caratteristiche che precedono di molto il Bosco Verticale, inaugurato giusto dieci anni or sono. Per tutte queste ragioni, l’autore – che ha lavorato per un periodo in Stefano Boeri Architetti – ha riservato un’attenzione particolare alla collaborazione di Boeri con Rem Koolhaas, architetto e scrittore che senza dubbio è stato un punto di riferimento e un suo interlocutore privilegiato.
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