Filippo Avalle nasce da madre svizzera e padre italiano a Chêne-Bougeries (Ginevra) il 13 ottobre 1947. Siamo un anno dopo la pubblicazione del Manifiesto Blanco di Lucio Fontana, un maestro ideale, il punto di riferimento per quella che Avalle sentirà come un’eredità artistica da sviluppare.
E lo farà accogliendo nel famoso “taglio della tela” l’indicazione di
un’ulteriore dimensione dello spazio. Intraprenderà quindi concretamente
il suo percorso artistico ‘oltre Fontana’ attraverso il metacrilato
(plexiglas), materiale plastico con proprietà di trasparenza e opacità,
che nasconde e rivela uno spazio oltre la tela. Affascinato dalla complessità dell’opera di Leonardo, non
dimenticherà mai la valenza anche progettuale del disegno che negli anni
diventerà “stratigrafico”.
Gli inizi - Fra tradizioni e avanguardie, la scoperta del plexiglas
Già da bambino Avalle si cimenta nel copiare quadri famosi e riceverà lezioni private di disegno. Dopo un periodo tra Varese e Milano, la famiglia si trasferisce a Torino
per l’incarico del padre come professore di filologia romanza
all’Università, mentre Avalle si iscrive al Liceo artistico. Nel suo
studio, in una casa disabitata, realizza i primi dipinti a olio su tela
con personaggi intimisti che si staccano da sfondi metafisici. È però
con i dipinti polimaterici (‘quadri-forma’) che tenta il superamento
della bidimensionalità e della cornice. Viaggia sulla moto Guzzi e in tenda alla scoperta di luoghi d’arte in
Italia. Si reca in Inghilterra per studiare la lingua, dipinge e
comincia a vendere i suoi lavori. Decisivo il 1966 per il consolidamento della sua scelta professionale e per il suo viaggio in Olanda per incontrare Helma Maessen, futura moglie, conosciuta in Inghilterra. Insieme visitano musei in Germania, Francia e nei Paesi Bassi dove
l’artista si aggiorna sulle nuove tendenze e approfondisce la conoscenza
della pittura olandese e dei Primitivi fiamminghi. Negli ultimi anni ‘60, iscritto all’Accademia Albertina di Torino,
sviluppa il percorso intrapreso con i “quadri-forma” nello studio della
casa di ringhiera di Piazza Gran Madre,
e passa poi alle “vetrine”, rappresentazioni polimateriche con stoffe,
carta stagnola, lamiere, carta vetro, legno e materiali plastici. Segue
il periodo delle “terre”: paesaggi naturali con sabbia, terra, legno e
paglia. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferisce nella casa-studio di Lungo Po Cadorna
dove Avalle organizza mostre personali e collettive. Nel 1970, un
periodo di lavoro al Centro Polimero Arte di Castiglione Olona segna una
svolta: Avalle sperimenta l’impiego del metacrilato (plexiglas) che
diventerà il materiale privilegiato per le sue opere.
Verso il futuro... Un manifesto e la prima grande opera
Dopo il servizio di leva parzialmente trascorso a Milano, Avalle
si trasferisce con la moglie e la piccola figlia Saskia nel capoluogo
lombardo in Via Stendhal 65, in un appartamento dove pure lavora, prima di aprire lo studio. Viene a contatto con l’ambiente culturale milanese e conosce Guido Le Noci, proprietario della Galleria Apollinaire. Le Noci vede le opere in mostra al Centro Culturale Rizzoli diretto da Vittoria Piazzoni Marinetti, si interessa al “Manifesto per una ripresa rivoluzionaria dell’arte”, firmato da Avalle con il filosofo Giovanni Bottiroli,
e si convince a “fornire il passaporto” – è sua l’espressione – a un
artista in cui crede. Viene così finanziata, dopo la prima grande opera Opera Labirinto, la seconda intitolata Helma Opera – Labirinto, realizzata nello studio di Via Liutprando
a Milano, oltre alla pubblicazione del libro omonimo, scritto sempre in
collaborazione con Bottiroli. A lavoro ultimato (1975), l’opera viene
esposta per un anno intero nella Galleria Apollinaire.
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