T.A.Z. Weblog Party

un nuovo "territorio mentale", che elude le normali strutture di controllo sociale

martedì 16 gennaio 2024

*La Pietà (da Teofrasto al Rinascimento, da Michelangelo a Pasolini).

Con il termine “pietà” si intende solitamente, nella storia dell’arte, un motivo figurativo rappresentante la Vergine e altri vari personaggi, che si apprestano alla deposizione, o tengono in braccio il Cristo morto.

Il concetto che in italiano esprimiamo con il termine "pietà" (religiosa) e dall'aggettivo "pio", come in "persona pia" o "religiosa", deriva dal latino “pietas” e traduce il greco “eusebeia”. La pietà rende una persona "uomo di Dio", o "amico di Dio", così come doveva essere fin dall'inizio, vale a dire di colui o colei che "ad immagine e somiglianza di Dio", "cammina con Lui". E proprio questa centralità Uomo -Dio, che caratterizzò tutto l’Umanesimo e il Rinascimento Italiano.

La pietà è una virtù che siamo chiamati a coltivare ed esercitarvisi ed è quindi fondamentalmente una pratica ("la pratica della pietà") che si apprende e che comporta precise implicazioni nel nostro rapporto con gli altri (una condotta santa e pia caratterizzata da purezza di spirito).

La “Pietà” è uno di quei sentimenti pieni di compassione, tensione emotiva, umanità che hanno espresso il dolore e la commozione dell’animo umano. E’ uno dei temi iconografici più diffusi, trattato da innumerevoli artisti nel corso dei secoli. Ma qual è l’origine di questa iconografia? Dove troviamo la genesi della Pietà come oggi intendiamo questa rappresentazione, in cui si sono cimentati i più grandi autori e che trovò nel Rinascimento la sua massima espressione?

La pietà si colloca a pieno diritto nel dibattito degli umanisti tra il concetto di “dignità” di Pico della Mirandola e quello di Amore del neoplatonico Marsilio Ficino, senza dimenticare lo studio di Cicerone che si manifestò nel Rinascimento. A tale proposito ricordiamo una citazione del grande Cicerone: “ Ed e bene che siano consacrate la Ragione, la Pietà, la Virtu, la Fede; a tutte queste sono dedicati in Roma dei templi in maniera siffatto che, tutti quelli che le posseggono – e le posseggono tutti quanti i buoni – pensino di avere nel loro animo gli dei stessi.”

Ma la prima traccia filosofica di questo concetto la troviamo nell’antica Grecia, in uno degli allievi di Aristotele e cioè TEOFRASTO. In Italia ce ne ha dato ampia e bellissima trattazione Gino Ditadi nel suo libro TEOFRASTO: DELLA PIETA’ (Isonomia, Padova, 2005), dobbiamo ritenere che il testo circolasse nel Rinascimento negli ambienti Neoplatonici e di massima attenzione tra gli Umanisti per la sua centralità sulle capacità dell’UOMO. Teofrasto nel suo libro Della Pietà auspicava il rispetto del mondo animale e vegetale: Secondo Teofrasto esiste una parentela che accomuna uomini ed animali. Tutti, infatti, hanno per padre il cielo, per madre la terra e il sangue del medesimo colore:

«Tutti gli uomini, ma anche tutti gli animali sono della stessa razza, perché i principi dei loro corpi sono per natura gli stessi (parlando così non mi riferisco ai primi elementi dai quali provengono le piante, ma penso alla pelle, alle carni, a quel genere di umori inerenti agli animali), e ancor più perché l’anima che è in loro non è diversa per natura in rapporto agli appetiti, ai movimenti di collera, ai ragionamenti e soprattutto alle sensazioni […].”

Solo nel 700 si giunge ad un’estensione, contiguità e interdipendenza, del concetto di pietà con quello più moderno di Umanità (Humanitas). Ecco come Kant si esprime nella Metafisica dei costumi:

“Congratulazione e compassione (sympathia moralis) sono sentimenti sensibili di piacere o dispiacere (che dunque sono da chiamare «estetici») per lo stato di benessere o dolore degli altri (sentimento comune, sensazione partecipativa), per i quali già la natura ha posto negli uomini la recettività. Tuttavia, il far uso di questi come di mezzi per promuovere la benevolenza attiva e razionale costituisce un dovere ulteriore (benché solo condizionato), che va sotto il nome di umanità (humanitas), poiché qui l’uomo viene considerato non puramente come essere razionale, ma anche come animale dotato di ragione. Questa può essere posta solo nella facoltà e volontà di essere partecipi gli uni degli altri in rapporto ai propri sentimenti (humanitas practica), oppure puramente nella recettività per il comune sentimento del benessere o del dolore (humanitas aesthetica), che la natura stessa dà. La prima cosa è libera e viene dunque chiamata partecipativa (communio sentiendi liberalis); la seconda non è libera (communio sentiendi illiberalis, servilis) e può chiamarsi comunicativa (come il calore o le malattie infettive), o anche passione comune, giacché essa si diffonde naturalmente tra uomini che vivono gli uni accanto agli altri. Solo nei confronti della prima esiste un dovere (A 129-130).”

Comunque associata alla religione e alla fede divenne patrimonio della Cristianità nei secoli e quindi grande strumento di divulgazione religiosa anche nell’Arte promossa dai Papi e dal mondo ecclesiastico.

Nel Trecento, Giotto a Padova, nella cappella degli Scrovegni dipinse il suo affresco, “Compianto sul Cristo morto”. considerato una delle opere fondamentali dell’arte moderna, segna il netto distacco dalla bidimensionalità dell’arte bizantina, con i soggetti religiosi privi di espressività, con le forme appiattite e stilizzate. Giotto rivoluziona la pittura, esaltando l’intensità del dolore, dando volume ai corpi e il senso della prospettiva, cercando di imitare la realtà.

Nel Rinascimento gli Artisti che sono stati i maggiori interpreti di questo tema sono stati: Cosmé Turà, Perugino, Giovanni Bellini, Sebastiano del Piombo, Raffaello, Mantegna, Michelangelo,  Caravaggio.

La Pietà è un dipinto tempera su tavola di Cosmè Tura, databile al 1460 circa e conservato nel Museo Correr di Venezia che evidenzia la sofferenza del corpo di Cristo. L'opera è ricca di simbologie e significati, tra questi, il più curioso si trova sulla sinistra dello spettatore: nell'angolo, vicino a una rovinosa caduta di colore, si scorge una scimmietta sulla cima di un albero che sta a ricordare la natura inferiore dell'uomo rispetto a quella divina. Stilisticamente quindi si colloca pienamente in linea con la pittura ferrarese di fine Quattrocento, tra le influenze nordiche e l'interpretazione delle novità portate da Mantegna nella vicina Padova. Poi c’è il polittico di Roverella dove predomina la scenografia della deposizione e la tensione drammatica della composizione.

La Pietà del Perugino (Perugino, Pietà, 1493-1494, olio su tavola, 168 x 176 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi) riprende un modello iconografico figurativo del nord Europa che sarà poi superata da Michelangelo con la sua Pietà. La Vergine è seduta con una posizione verticale e rigida mentre il corpo di Gesù è collocato orizzontalmente sulle sue gambe. A sinistra, Giovanni evangelista sostiene la parte superiore del corpo di Cristo mentre a destra Maria Maddalena regge i piedi. Sui lati dell’immagine si trovano un giovane santo con le mani giunte e raccolte verso il petto e un santo più anziano.

La Pietà del Perugino riprende il modello tedesco definito Vesperbild. Secondo questa tradizione iconografica, il corpo di Cristo giace rigido tra le braccia di Maria. La Madre è seduta con il busto teso e verticale mentre il Gesù morto è disposto in orizzontale. Questo modello troverà una moderna alternativa con la Pietà di Michelangelo. Il termine tedesco Vesperbild si può tradurre in italiano come immagine del Vespro. Tale modello di scultura devozionale nacque nel XIV secolo in Germania.

L’ardito scorcio prospettico è il punto di forza del Cristo morto del Mantegna. L’artista studia la composizione del dipinto con un intento emotivo: far soffrire l’osservatore, che si ritrova trascinato al centro del dramma, proprio di fronte al Cristo disteso sulla pietra dell’unzione. Il taglio fotografico, il forte contrasto di luci, il tratto incisivo delle linee, tutto per evidenziare i dettagli più impressionanti, come i buchi lasciati dai chiodi nei piedi in primo piano e nelle mani.

Nel dipinto della Pietà, realizzato da Sebastiano del Piombo intorno al 1516, non esiste contatto fisico tra Maria e Gesù. La Madonna prega rivolta al cielo, con il figlio disteso ai suoi piedi in uno scenario tenebroso che è stato riconosciuto come una zona periferica di Viterbo.

Come Michelangelo, Tiziano raffigura sé stesso nella Pietà destinata alla sua sepoltura: egli è il vecchio prostrato dinanzi alla Vergine, tradizionalmente identificato in Nicodemo o Giuseppe d'Arimatea. La tecnica pittorica è quella tipica delle sue ultime opere ed è caratterizzata da colori cupi stesi con pennellate ricche e veloci, vibranti di luce.

Giovanni Bellini:

Il lirismo struggente di Giovanni Bellini è rivelato da tre opere sul tema della Pietà due a Milano, una a Brera e l’altra al Museo Poldi Pezzoli. Entrambe colpiscono per l’eleganza della figura di Cristo, un’atmosfera quasi metafisica. Non compaiono elementi prospettici accentuati (come invece nel Cristo scurto di suo cognato Mantegna), né la presenza corporea del corpo di Cristo Michelangiolesco. La terza a Venezia c/o il Museo Correr.

 

                     




A Giovanni Bellini il destino e la bravura regaleranno due allievi dell’importanza di Giorgione e Tiziano (come i più grandi artisti fiorentini passeranno per la bottega di Verrocchio) a cui darà e dai quali prenderà ispirazione. Bellini è un disegnatore straordinario: è la perfetta definizione dei personaggi e di ogni minuto particolare a dettare i connotati dell’opera. Del resto, a Venezia i fiamminghi erano ben noti (e collezionati) e Giovanni Bellini guarda anche a loro.

Ma fra tutte le Pietà dipinte dal Bellini nel “Cristo morto sorretto da quattro angeli”, una tempera e olio su tavola dipinta intorno agli anni ’70 del 1400 e oggi conservata al Museo della Città di Rimini è quella che più ci colpisce. Qui avviene il “quasi attuato rinnovamento” come scrive Roberto Longhi, che continua “Ecco tutto il quadro occupato di alterne tonalità coloristiche chiare e scure: ecco i corpi divenuti di una sostanza più viva e respirante, come zuccherina, dove l’ombra si deposita morvidissima; ecco il modellato arrotondarsi come nelle testine angeliche (…) ecco i corpi soffondersi d’ambra e le vesti formarsi di rosa”. 

La dolorosa armonia e la delicatezza angelica di Bellini fanno pensare più a influenze di Antonello da Messina che non di Mantegna.

 

Nella Deposizione realizzata da Caravaggio, (Pinacoteca Vaticana), la scena è affollata e la luce, quasi divina, colpisce direttamente il corpo di Cristo. Nicodemo, che ha il volto di Michelangelo, gli sostiene i piedi ed è l’unico personaggio che rivolge lo sguardo verso chi osserva. Il viso di Gesù è un autoritratto del Caravaggio. Il “braccio della morte” è una citazione della prima Pietà di Michelangelo. Maria è distante dal Cristo e appare invecchiata.

LA PIETA’ IN MICHELANGELO: Il Genio di Michelangelo lo portò ad esprimersi come nessuno prima e dopo di lui sul tema della Pietà a più riprese ed a tutte le età sino alla morte, e divenne nell’artista non solo oggetto d’investigazione iconografica- religiosa, ma divenne una vera ossessione assoluta sia in campo etico, che estetico e umano. Se ne conosco 4 versioni (tre certe e una dubbia).

-La Pietà Vaticana: Michelangelo affronta per la prima volta l’immagine della Pietà durante il suo primo viaggio a Roma, su commissione del cardinale francese Jean de Bilhères. Il giovane Michelangelo, era all’epoca ventitreenne, concepisce l’opera con un impianto piramidale dove a trionfare sono oltre la bellezza e l’armonia, la centralità della giovane figura Mariana, donna e madre simbolo d’amore e purezza assoluta.

“Sia noto et manifesto a chi legerà la presente scripta, come el reverendissimo cardinal di San Dionisio si è convenuto con mastro Michelangelo statuario fiorentino, che lo dicto maestro debia far una Pietà di marmo a sue spese, ciò è una Vergene Maria vestita, con Christo morto in braccio, grande quanto sia vno homo iusto, per prezo di ducati quattrocento cinquanta d’oro in oro papali, in termino di uno anno dal dì della principiata opera.” Roma, 27 agosto 1498. Questo il contratto che diede inizio a uno dei capolavori dell’Arte d’ogni tempo.

Il volto estremamente giovanile della Madonna gli attirò critiche crudeli, alle quali l’artista rispose sostenendo che la santità preserva l’eleganza e la giovinezza(esaltata da un panneggio marmoreo strabiliante)  e che il suo intento non era quello di rappresentare il momento della morte di Cristo, ma il significato più spirituale e profondo che vi si celava dietro. Il risultato è che Michelangelo riesce a rendere eterno un momento, carico di intensa umanità.

-La pietà di Palestrina:

Una Pietà ritrovata nella chiesa di Santa Rosalia a Palestrina è tra le opere più discusse di Michelangelo. Lo stesso Vasari la riteneva opera di un suo allievo ma alcuni disegni di Michelangelo, tra i quali uno per Vittoria Colonna, sua amica e confidente nonché signora di Palestrina, mostrano che l’artista stava lavorando su un’idea dall’impianto molto simile.

Malgrado in molti l’abbiano attribuita a Michelangelo (Caprese, 1475 - Roma, 1564), le fonti coeve tacciono al riguardo. Non esistono documenti dell’epoca di Michelangelo che la citino, e nessuno dei suoi biografi ne parla: di fatto, se fosse davvero un’opera del grande artista toscano, sarebbe l’unica Pietà di cui nessuno dei suoi contemporanei abbia mai scritto qualcosa.

L’opera si trova in uno stato di abbozzo, il che fa pensare proprio alla tecnica di Michelangelo. Il lato posteriore è completamente liscio (l’opera era da addossarsi a una parete, posizione in cui in effetti si trovava nella chiesa prenestina), ma alcune forature e i rimasugli di certi motivi decorativi lascerebbero supporre che il pezzo di marmo da cui fu ricavata la scultura fosse anticamente un elemento inserito in un complesso più ampio: segno che lo scultore che realizzò la Pietà non lavorò su un marmo che arrivava direttamente da una cava, bensì su quello che con ogni probabilità era il frammento di un architrave appartenente a un’architettura antica.

Lo studioso francese Albert Grenier fu tra i primi entusiasti fautori dell’opera come di mano Michelangiolesca: sottolineando la “violenza del sentire dell’artista”, la “cura tormentata per i dettagli”, il “sentimento profondo dell’insieme”, e anche le sproporzioni, come quelle fortissime tra il torace e le gambe di Cristo, che per Grenier sono volute. A favore dell’attribuzione si schierarono anche Piero Toesca e Adolfo Venturi. Tra coloro che inflissero un duro colpo all’attribuzione vi furono Rudolf Wittkower, che pensò al lavoro di un allievo e Charles de Tolnay (che, peraltro, diresse la Casa Buonarroti dal 1965 al 1981), il quale scrisse che l’opera altro non era se non “una mescolanza di motivi di diverse opere di Michelangiolo”, e nello specifico che “il cadavere del Cristo e la Vergine sono copie della prima versione della Pietà Rondanini”, che “la Santa Maddalena è una copia (all’inverso) della Maddalena della Pietà del Duomo”, e che “l’esecuzione, debolissima nei particolari, è probabilmente da attribuirsi a un allievo di Michelangiolo”.

Certo è che l’opera esprime benissimo e sintetizza il mondo poetico Michelangiolesco e la sua tecnica e da forse ragione a Giovanni Papini che scrisse: “ …E così l'opera che sembrava trinità del dolore è invece trilogia di umano e divino conforto. “

-La pietà Bandini:

Ben diversa dalla giovanile e rifinita Pietà Vaticana è la cosiddetta Pietà Bandini, iniziata in tarda età e costruita come un gruppo serrato di figure che comprende la Maddalena e Nicodemo che sorregge la Vergine e il corpo di Cristo.

è una delle ultime opere di Michelangelo Buonarroti, che la realizzò tra il 1547 e il 1555 circa, lasciandola interrotta. La targa con inscrizione, di maestranze fiorentine, ricorda il trasferimento dell’opera dalla Basilica di San Lorenzo in Duomo.

Ideata da Michelangelo come monumento per la propria sepoltura, l’opera appartenne per un certo tempo alla famiglia Bandini, in Roma, finché venne acquistata dal granduca Cosimo III de’ Medici nel 1671. Dapprima collocata in San Lorenzo, nel 1722 fu spostata in Duomo, sul retro dell’altar maggiore, per poi essere sistemata nel 1933 nella cappella di Sant’Andrea. Dal 1981 si trova nel Museo dell’Opera.

Più urgente e immediata si è fatta la volontà di fondere il Figlio di Dio con la Madonna, tant’è che i due volti si toccano, mentre il corpo divino è diventato carne in disfacimento, materia tragica accentuata dallo stato di non finito dell’opera.

Michelangelo stesso, dopo aver preso in considerazione l’idea di farla porre sulla sua tomba, l’aveva presa a martellate ed abbandonata in una delle sue crisi depressive. Fu rifinita da Tiberio Calcagni, per mediazione di Francesco Bandini ma non giungerà mai ad essere posta sul sepolcro dell’artista come auspicava già il Vasari.

Michelangelo, ormai settantenne, ha raffigurato il proprio autoritratto, come per identificarsi in Nicodemo, nella sua cura amorevole del corpo di Gesù, mentre lo deposita, accompagnandolo nel sepolcro. Il tema della morte, della sepoltura, della speranza cristiana della risurrezione, si fondono in una compassione corale e assoluta. Nel suo volto c’è tutto lo strazio, l’amore e la pietà umana e divina di Michelangelo.

La Pietà Rondanini:

L’ultima delle Pietà michelangiolesche è anche l’ultima opera a cui l’artista mise mano. Rimasta anch’essa incompleta, fu rielaborata da Michelangelo più volte, fino a giungere alla soluzione di unire il corpo di Cristo a quello della Vergine, scolpendolo nella parte di marmo inizialmente occupata dal solo corpo di Maria.

Le due figure così lievemente abbozzate evocano una fusione che, prima dei corpi, è una fusione di anime. L’iniziale ricerca di perfezione anatomica è del tutto scomparsa, mentre la consistenza fisica delle figure ha lasciato il posto ad un’immagine spiritualizzata.

Nessun altro artista al pari di Michelangelo ha saputo trasmettere il valore straordinario del non-finito, potendolo contrapporre al massimo grado di perfezione raggiunto in alcune opere da lui scolpite in gioventù, quali il Bacco, la Pietà vaticana o il David. Figure bloccate nel marmo come da una sorta di incantesimo, ma il cui respiro pare non essersi mai arrestato all’interno della materia. Un non-finito, naturalmente, che non vuol significare una momentanea o conclusiva interruzione, ma una scelta poetica e materica di contrasto tra il levigato e la materia grezza come espediente per far risaltare ancor più sia la valenza spirituale della materia che dell’agire scultoreo.

Il non-finito-consapevole in arte, però, è una condizione assai diversa, interiore che esalta la tensione creativa e le capacità tecniche dell’artista che trae dalla materia grezza perle estetiche. Michelangelo, intuì immediatamente come la scultura, più di qualsiasi altra espressione artistica, abbia connaturata in sé la capacità di restituire visivamente una così intensa tensione emotiva, senza alterarne la forza poetica e drammatica. Infatti egli, che pure fu pittore, architetto e poeta, sempre si considerò essenzialmente scultore. Intendendo la scultura come l’arte del togliere, dello svelare, ciò che la materia già di per sé contiene. Iniziata nel 1552 Michelangelo vi lavorerà sino al 1564, quasi novantenne (era nato il 6 marzo 1475), sino agli ultimi giorni di vita. Colpisce l’intensità di questo dialogo ininterrotto con la morte, l’assoluto e la materia.

La scultura venne trovata nel suo studio, dopo la sua morte, e dall’inventario risulta così descritta: «Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite». A conclusione delle sue Vite, il Vasari scriverà di questa e di tutte le opere di Michelangelo, che la loro fama durerà fino a quando durerà il mondo, «mal grado della invidia et al dispetto della morte».



 

L’opera in levare di Michelangelo si percepisce a pieno confrontando il panneggio elegante e sontuoso della Madonna nell’opera Vaticana e l’essenzialità assoluta e commovente nel nudo del corpo di Cristo della pietà Rondanini e l’assenza assoluta di panneggi e decori nella pietà Rondanini.

 

La pietà in Pier Paolo Pasolini:

La pietà è uno dei temi dominanti (insieme alla Realtà) della poesia di Pasolini. Il suo era un ateismo religioso (La religione del mio tempo; L’Usignolo della Chiesa Cattolica, Le ceneri di Gramsci). Pasolini affronta il tema della Pietà di CRISTO-UOMO, nel film Il Vangelo secondo Matteo in maniera esemplare. E basterebbe ricordare la poesia dedicata al Papa in cui gli rimprovera non di non fare il male, ma di non fare il bene, accusandolo d’essere un grande peccatore, ma preferiamo ricordare quest’altra poesia: LA CROCIFISSIONE.

“…Il poeta indifeso e nudo come un “fanciullo” si rivolge al suo Dio creatore per confessarsi e chiedergli perdono. Ecco il richiamo e l’analogia con la passione di Cristo, l’Annunciazione. La sua onestà intellettuale e il suo amore per la verità storica che saranno due stelle comete di tutta la sua attività di uomo, poeta, critico, scrittore e regista.

Si nota subito l’incipit di ogni parte del suo poemetto La Passione e oggetto della sua preghiera e riflessione  è CRISTO, come corpo morto(e viene in mente la deposizione del Mantegna), Cristo androgino, come giovinetta, Cristo in supplizio, Cristo ferito, Cristo soave fanciullo,  in cui il poeta s’identifica e soffre.

Ricordiamo che nel 1964 dedica alla figura di Cristo il suo capolavoro cinematografico Il Vangelo secondo Matteo. Pasolini non ama la chiesa ma adora la figura simbolica e storica di Cristo umile e rivoluzionario. Il suo laicismo poetico, lo porta scrivere un poemetto “La Crocefissione” che crediamo centrale del libro:

*LA CROCIFISSIONE

Ma noi predichiamo Cristo crocifisso:

scandalo pe’ Giudei, stoltezza pe’ Gentili

Paolo, Lettera ai Corinti

Tutte le piaghe sono al sole

ed Egli muore sotto gli occhi

di tutti: perfino la madre

sotto il petto, il ventre, i ginocchi,

guarda il Suo corpo patire.

L’alba e il vespro Gli fanno luce

sulle braccia aperte e l’Aprile

intenerisce il Suo esibire

la morte a sguardi che Lo bruciano.

 

Perché Cristo fu ESPOSTO in Croce?

Oh scossa del cuore al nudo

corpo del giovinetto…atroce

offesa al suo pudore crudo…

Il sole e gli sguardi! La voce

estrema chiese a Dio perdono

con un singhiozzo di vergogna

rossa nel cielo senza suono,

tra pupille fresche e annoiate

di Lui: morte, sesso e gogna.

 

 

Bisogna esporsi (questo insegna

il povero Cristo inchiodato?),

la chiarezza del cuore è degna

di ogni scherno, di ogni peccato

di ogni più nuda passione

(questo vuol dire il Crocifisso?

sacrificare ogni giorno il dono

rinunciare ogni giorno al perdono

sporgersi ingenui sull’abisso.)

 

Noi staremo offerti sulla croce,

alla gogna, tra le pupille

limpide di gioia feroce,

scoprendo all’ironia le stille

del sangue dal petto ai ginocchi,

miti, ridicoli, tremando

d’intelletto e passione nel gioco

del cuore arso dal suo fuoco,

per testimoniare lo scandalo.

*tratto da L’Usignolo della chiesa cattolica, Gli Struzzi, Einaudi, 1982, pagg. 85-86.

Qui il poeta esprime tutta la sua Pietas Cristiana e umana, e l’identificazione con il Cristo umano e terreno, crocifisso senza colpe, umiliato nel corpo, deriso negli insegnamenti e ne trae l’insegnamento che bisogna esporsi e accettare il rischio della crocifissione, testimoniarne lo scandalo.” (dal libro di Donato Di Poce: P.P.Pasolini, L’ossimoro vivente, I Quaderni del Bardo Edizioni, Lecce, 2021)

E infine vogliamo ricordare un’opera di street art, di Ernest Pignon-Ernest (che ne aveva fatta un’altra a Certaldo) a Roma, dedicata alla figura di Pier Paolo Pasolini, solo l’ultima di una nutrita serie, che annovera, tra gli autori più noti, Mr. Klevra, Omino 71, Maupal, Zilda, David Vecchiato, Nicola Verlato.

Un poster incollato al muro, per il ritratto di un Pasolini doppio, vivo e morente, colto nell’atto dell’ultima (auto)contemplazione. Strana e potente pietà laica, in cui il poeta tiene fra le braccia il proprio cadavere: una luttuosa premonizione, con quell’idea di morte così presente, sempre, nella sua scrittura, o viceversa un’ostinata affermazione di disperata vitalità, esibendo egli stesso l’immagine del delitto e del dolore. In quest’opera riemergono il tema della morte e prepotentemente quello della pietà attraverso il suo doppio, che diventa anima del mondo morente sola speranza di redenzione per l’essere umano.

***

*Dal libro di Donato Di Poce, “RINASCIMENTO: La danza delle idee, I Quaderni del Bardo, Lecce, 2022.

https://www.amazon.it/RINASCIMENTO-danza-delle-Donato-Poce/dp/B0BMZ73XD3/ref=sr_1_18?qid=1705240160&refinements=p_27%3ADonato+Di+Poce&s=books&sr=1-18



Non è mai la fine del mondo: nuovo singolo elettro pop della cantautrice e polistrumentista Chiara Turco

 Il suono raffinato del pop elettronico unito al messaggio di non arrendersi: prodotto da Alberto Dati per Scirocco Music, dal 12 gennaio su tutte le piattaforme digitali è disponibile “Non è mai la fine del mondo”, nuovo singolo elettro pop della cantautrice e polistrumentista tarantina Chiara Turco. Nell’epoca in cui tutto sembra distrutto, lacerato, vuoto, il brano è un invito a scoprire e riscoprire quello che invece resta, dove un “tienimi forte” è la voglia di restare uniti mentre tutto intorno sembra dividere. Nel testo si trovano riferimenti ai cambiamenti climatici e ai conflitti, “qui la Terra brucia, non smette di tremare”, alla paura del presente e del futuro, diverso dai giorni della spensieratezza che sembrano essere solo ricordi. “Dicono che stiamo crescendo, ma forse stiamo andando troppo di corsa” è la consapevolezza di una generazione che ha bisogno di fermarsi, di riscoprirsi, di abbracciarsi e di scoprire che nonostante tutto c’è sempre qualcosa in cui credere e che non è questa, la fine del mondo.


La cantautrice e polistrumentista Chiara Turco cresce a Torricella, piccolo paese in provincia di Taranto. Inizia a suonare fin da piccola scoprendo la musica dei grandi cantautori italiani e internazionali, esempio e ispirazione dei suoi testi. Affascinata dai suoni elettronici, sequencer, loop station e dal loro utilizzo nella musica, Chiara Turco unisce il cantautorato alla musica electro-pop esordendo nel 2016 con “First” per l’etichetta indipendente Putsch Records di Alberto Dati. Nel 2017 inizia la collaborazione con Xo La Factory e con il singolo “You Know” arriva sui palchi di Cinzella Festival, Contronatura Festival, ClaXOn Fest, Awanda Indie Fest, Uno Maggio Taranto condividendo l'esperienza con artisti come Brunori Sas, Levante, Ghemon, Noemi, Irene Grandi, Vinicio Capossela, Frankie Hi-Nrg, The Zen Circus. Nel 2018 suona al Medimex di Puglia Sounds, nell'edizione che ospita anche Placebo e Kraftwerk. Nello stesso anno esce il cd "Via Roma", undici brani in italiano che confermano la sua "elettronica pop-oriented e dinamicamente variegata". Il tour di presentazione tocca oltre 40 città italiane e i festival Keep On Live Fest, SEI - Sud Est Indipendente e Arezzo Wave. Nel 2020 avvia una collaborazione live con la band La Municipàl, con la quale partecipa anche al programma “Tonica” su RAI 2 (2022), condotto da Andrea Delogu. È finalista del contest 1MNext 2023 – Primo Maggio di Roma. Gli ultimi singoli "Isole nuove", "Non smetti di bruciare" e "Non è mai la fine del mondo" preannunciano il nuovo disco in uscita nel 2024 per la nuova realtà pugliese Scirocco Music, con la quale l’artista collabora in veste di esperta in diritto d’autore. Accompagnata da Errico Carcagni Ruspa (tastiere, synth, elettronica) e Stefano Scuro (chitarra e basso), la cantautrice definisce la sua musica come “visiva”. L’uso di strumenti elettronici, in particolare delle loop station, la porta a muoversi sul palco creando sinergia tra suoni e gesti tutti da ascoltare e guardare. (foto di Antonio Cavallo)





Il Novecento, tra arte e politica | Il Bo Live UniPD

Il Novecento, tra arte e politica | Il Bo Live UniPD

Uno sguardo inedito sull’Italia e le sue bellezze artistiche | Sky Arte

Uno sguardo inedito sull’Italia e le sue bellezze artistiche | Sky Arte

Arte e giovani, c’è la vetrina giusta

Arte e giovani, c’è la vetrina giusta

Ugo Martiradonna e l’arte senza età: a 89 anni il maestro espone a Bari le opere nate in lockdown - la Repubblica

Ugo Martiradonna e l’arte senza età: a 89 anni il maestro espone a Bari le opere nate in lockdown - la Repubblica

“Mostrificio” Sgarbi: arte a caso e patrocini - Il Fatto Quotidiano

“Mostrificio” Sgarbi: arte a caso e patrocini - Il Fatto Quotidiano

lunedì 15 gennaio 2024

Jamilah Sabur: The Harvesters / The Bass Museum of Art, Miami Beach

GENNAIO AL MUSEO DELLA CERAMICA DI CUTROFIANO TRA PASSEGGIATE INDIETRO NEL TEMPO, VIAGGI NEL FUTURO E LABORATORI DI CERAMICA PER OVER 50 PER CONTRASTARE I PROCESSI DI MARGINALIZZAZIONE ED ISOLAMENTO CHE CARATTERIZZANO LA TERZA ETÀ

Per tutto il mese di gennaio, nel Museo della Ceramica e Biblioteca di Cutrofiano, continuano le attività ideate per rendere la struttura di Piazza Municipio sempre più accessibile con azioni mirate per migliorare spazio e allestimenti, servizi educativi e comunicazione.


Martedì 16 e lunedì 22 gennaio spazio agli appuntamenti di “Vasi comunicanti - Il museo dispensa della memoria”, finalizzati alla ricerca sull'invecchiamento creativo (creative ageing) condotta da Giorgio Coen Cagli, dottorando dell'Università del Salento, studioso che da anni si occupa di processi partecipativi nell’ambito del patrimonio culturale, con particolare riferimento alle politiche europee. Dalle 17 alle 19:30 (max 8 persone) le sale del Museo accoglieranno due workshop di ceramica dedicati agli over 50 con la ceramista e artista visiva Giorgia Prontera e con il “maestro" Leonardo Tondo, titolare del laboratorio “Ceramica17” di Leverano. In entrambe le giornate saranno realizzati piccoli “vasi della memoria”, recipienti destinati a conservare racconti e memorie, e si terrà una visita guidata speciale alla collezione museale. Martedì 16, dalle 16 alle 17, inoltre LaboArti curerà un laboratorio dedicato agli ospiti RSA Villa Immacolata di Cutrofiano. La ricerca sul creative ageing vuole porre l'accento sulla possibilità di contrastare i processi di marginalizzazione ed isolamento sociale che spesso caratterizzano le fasi avanzate di vita mediante attività che ne valorizzino il potenziale per tutta la comunità locale: conoscenza di tradizioni e saperi, esperienza, tempo libero, memorie personali e collettive, e così via. I laboratori si presentano quindi come preziosi momenti di socializzazione per i partecipanti e, allo stesso tempo, come occasione di attivo contributo degli stessi alla vita culturale e sociale del paese. Il progetto si avvale della metodologia propria della ricerca azione partecipata, proponendo il coinvolgimento attivo dei partecipanti in ogni momento di lavoro, in quanto membri di un gruppo di ricerca finalizzato a generare cambiamento sociale – anziché come semplici “fruitori” di un servizio di welfare.

Mercoledì 17 gennaio dalle 17 alle 18:30
, in occasione della Giornata Nazionale del dialetto e delle lingue locali, sarà proposto un viaggio indietro nel tempo fino al 1700. Una visita guidata a cura della Pro Loco di Cutrofiano catapulterà infatti, in maniera del tutto immaginaria, nella piccola Cutrofiano di diversi secoli fa. 
 Infatti il tour parte fuori dalle mura, la zona dove erano presenti le botteghe figule e  nella quale oggi esiste via Figoli. Proseguendo verso il centro si arriva nella congrega dell'Immacolata, voluta dalla confraternita legata proprio ai figuli cutrofianesi e realizzata anche grazie alla donazione fatta da Don Lelio Filomarini. Si prosegue arrivando nel cuore del paese con la piazza e il suo palazzo Filomarini e quindi la visita nelle sale del museo della Ceramica. Superando piazza Filomarini, si arriva in piazza Cavallotti e poi alla Fornace a Legna dei Fratelli Colì. Una fornace divenuta un monumento storico, culturale e architettonico che oggi ci racconta il vissuto delle famiglie e dei ceramisti cutrofianesi.

Venerdì 19 gennaio alle 18 
l’appuntamento è in biblioteca con “Lettori tutto l’anno”. Questo mese il laboratorio di lettura per bambini dai 6 ai 10 anni è dedicato a "Il talento di Mr. Alce", un albo illustrato di Inga Moore (Orecchio Acerbo). Il libro è dedicato alle bibliotecarie e ai bibliotecari di tutto il mondo ed è un inno alla lettura, all'ascolto condiviso, alle biblioteche, allo spirito di dedizione che può animare un'intera comunità che si raccoglie intorno a un libro. Mr. Alce è la metafora dell'altruismo disinteressato e gratuito, che sveglia la curiosità degli animali del bosco verso la lettura, e permette loro di intraprendere viaggi straordinari.

Mercoledì 31 gennaio dalle 17:30 alle 19, insieme ad AVR Lab, impresa spin-off dell’Università del Salento, sarà inaugurato il secondo dispositivo digitale che consentirà di fruire della collezione in un modo diverso, nuovo e più interattivo. Il Museo della Ceramica ha il compito di tutelare e tramandare non solo le tecniche di lavorazione, ma anche i gesti che un ceramista effettua durante la modellazione di un manufatto ceramico con tecniche tradizionali. Per questo è stata progettata una soluzione ad hoc: un’applicazione di Realtà Aumentata, fruibile attraverso uno schermo interattivo. L’applicazione è in grado di tracciare l’utente nello spazio e di guidarlo nell’apprendere in maniera interattiva sia le tecniche di lavorazione di un manufatto ceramico, sia i gesti atti a modellare un oggetto, in questo caso virtuale. Si tratta di un serious game che punta sulla simulazione per attivare la curiosità del visitatore su questo importante aspetto del patrimonio.

Continuano anche le rassegne mensili: “English for beginners”, corso di inglese per principianti con Janice (martedì alle 10), "Yoga al museo" con Ticia (mercoledì 17 alle 10:15 - costo 10 euro), “Knit tea – Tessere in biblioteca”, incontri di condivisione saperi e tecniche (mercoledì alle 18), “My fairy books”, laboratorio di lettura per bambini di età prescolare (sabato dalle 10 alle 12).

Attività ed eventi sono promossi da un partenariato guidato da 34° Fuso Aps in collaborazione con il Comune di Cutrofiano, è stato finanziato dal Ministero della Cultura e approvato nell’ambito dell'avviso pubblico Rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi per consentire un più ampio accesso e partecipazione alla cultura. Info museobibliotecacutrofiano@gmail.com - 0836512461 - 3278773894.





ESPRESSIONISMO ASTRATTO: Jackson Pollock, Mark Rothko e la Scuola di New York

CHIHARU SHIOTA "The Key in the Hand" (2015) - #1MOCA: One Minute of Contemporary Art

NAM JUNE PAIK "Fin de Siècle" (1989) - #1MOCA: One Minute of Contemporary Art

domenica 14 gennaio 2024

Nam June Paik: The Miami Years / Bass Museum of Art, Miami Beach

Frederik Næblerød / Alice Folker Gallery at Art Cologne 2023

Memorie e impressioni - STEFANIA LANGFELDER a cura di Lorenzo Valentino fino al 20 gennaio 2024 alla Galleria Previtali

 La produzione di Stefania Langfelder è caratterizzata, per la maggior parte delle sue opere, da campiture dimezzate bianche e azzurre, abitate da aggregati di figure all’apparenza filiformi, schierate lungo perimetri areali della coscienza impegnata a districarsi dall’enigma del quotidiano. Un mistero fitto e stratificato sull’asse portante del proprio destino, dipinto come forma scolpita nel legno o incastonato nel marmo lucido e freddo di un’esistenza liquida e informe. Il movimento dei corpi metamorfizzati, scrutato dall’occhio anfibio, è collocato poi spazialmente nell’etere dell’indecisione, gerarchicamente disposto non secondo valori di sostanza ma catturato dall’intensità etica di uno sguardo che sconfina nell’ambiente disteso dal dolore.

In alcune tele s’intravedono infine grumi di verità alla deriva, dalla tinta rosso violaceo, che galleggiano tra arcipelaghi di passione per  annunciare  l’inizio delle danze urbane accompagnate da un florilegio di volti, segni dell’ immaginaria inconsistenza oggettivata in polveri dalle tinte cirrotiche. Figure evanescenti in dialogo, consumate dal tempo, tra borbottii e coaguli di pensieri, svaporati in reticoli di cristalli  pieni di turbamento, sullo sfondo di epifaniche dolcezze che irritano l’incoscienza ma che incantano.

Info link https://www.galleriaprevitali.it/stefania-langfelder/ 




SABATO 20 E DOMENICA 21 GENNAIO IL GIORNALISTA MARCO DAMILANO PRESENTA "LA MIA PICCOLA PATRIA. STORIA CORALE DI UN PAESE CHE ESISTE" A LECCE, SPONGANO, BARI E BISCEGLIE

Sabato 20 e domenica 21 gennaio il giornalista Marco Damilano, editorialista del quotidiano “Domani", autore e conduttore della striscia di informazione "Il cavallo e la torre" su Rai Tre, sarà in Puglia per presentare il suo ultimo libro "La mia piccola patria. Storia corale di un paese che esiste" (Rizzoli). Il minitour - promosso da Diffondiamo idee di valore Conversazioni sul futuro - partirà sabato 20 gennaioalle 17, in collaborazione con Coolclub e Libreria Liberrima, l'autore sarà alle Officine Cantelmo di Lecce in dialogo con il sindaco Carlo SalveminiAlle 19:30 poi nel Centro di Aggregazione Giovanile di Spongano sarà intervistato dalla giornalista Valentina Murrieri nell'appuntamento promosso dal Comune di Spongano, in collaborazione con Associazione NarrAzioniUltimi Fuochi teatro e Libreria Idrusa di Alessano. Domenica 21 gennaio alle 11 nella libreria Liberrima di Via Calefati a Bariper il progetto "Blind Book Bari – Sensazioni in libreria", finanziato dal bando pubblico Un negozio non è solo un negozio nell’ambito del programma d_Bari 2022 – 2024, Damilano parlerà del volume con la giornalista Maddalena Tulanti. Ultimo incontro fissato alle 18 alle Vecchie Segherie Mastrototaro di Bisceglie con la partecipazione di Paolo Ponzio, docente di Storia della Filosofia dell'Università di Bari e presidente del Teatro Pubblico Pugliese.

La mia piccola patria è il racconto di ottant'anni di storia d'Italia, dal 1943 a oggi, dalla Resistenza alle nuove sfide. Gli eventi, i luoghi, i miti, i leader, gli inizi e gli addii che hanno costruito per la prima volta un'identità comune senza eserciti stranieri o dittature. Il Paese che esiste, ritratto nei passaggi cruciali della Repubblica, le conquiste collettive, le cadute, i passaggi oscuri, le tragedie, le rinascite. Il Paese dalle tante appartenenze e dei molti popoli che si sono incrociati, si sono scontrati, avranno la possibilità di ritrovarsi solo partendo dal riconoscimento e dall'apertura. «La patria non è una fortezza da difendere, un castello da rendere inespugnabile, ma è un filo d'erba che trema, un seme che può essere raccolto altrove», scrive Damilano. «Solo accettando la condizione degli ex-patriati, solo se la patria, come l'abbiamo conosciuta, diventa una "Ex-Patria", potremo ritrovare il senso della nostra appartenenza. Solo perdendoci potremo ritrovarci, solo uscendo da noi stessi potremo ritornare a casa, per poi uscire ancora. Per compiere un altro passo di quel cammino cominciato ottant'anni fa, in una mattina di primavera».

Marco Damilano è nato a Roma nel 1968. Giornalista, saggista, conduttore televisivo, direttore de l’Espresso dal 2017 al 2022, già autore e ospite fisso di Gazebo (Rai3) e Propaganda Live (La7), attualmente collabora con “Domani” e conduce su Rai Tre la striscia quotidiana di informazione Il cavallo e la torre. Tra i suoi libri più recenti "Processo al nuovo" (2017), "Un atomo di verità. Il caso Moro e la fine della politica in Italia" (2018) e "Il Presidente" (2021). È autore dei podcast "Romanzo Quirinale" (2021) ed "Ex Voto" (2022) per Chora media.

Info




David Reed: Krefeld Miami New York / Häusler Contemporary Zürich

sabato 13 gennaio 2024

Tailoring school. A journey into education 13 – 16 gennaio 2024

 Triennale Milano e Kiton presentano la mostra Tailoring school. A journey into education – a cura di Luca Stoppiniadvisor per l’archivio moda del Museo del Design Italiano di Triennale –, parte integrante di un progetto dedicato alla formazione che nasce dall’esperienza della Scuola di Alta Sartoria fondata nel 2000 da Kiton. L’esposizione, visibile dal 13 al 16 gennaio 2024 nel Salone d’Onore di Triennale, viene completata da una serie di appuntamenti con alcune scuole del territorio che intende valorizzare l’esperienza formativa e far conoscere un modello virtuoso e replicabile in altri contesti.

Tailoring school. A journey into education racconta il percorso della Scuola di Alta Sartoria di Kiton, che da ventitré anni rappresenta un progetto formativo d’eccellenza, necessario per custodire le tradizioni e garantire la continuità dell'arte sartoriale nel mondo. La mostra vuole inoltre approfondire l’eredità culturale e la tradizione sartoriale napoletana che la scuola porta con sé.

Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, ha dichiarato: “Quello della formazione è uno dei temi principali che un’istituzione deve porsi, soprattutto pensando al significato che ricopre per le nuove generazioni e al confronto che porta con sé. Triennale Milano vuole tornare a essere una Scuola. Un luogo dove la prossimità con oggetti e spazi bellissimi, insieme alla circolazione di idee rapsodiche, concetti inaspettati e immagini potenti, è occasione per la trasmissione del sapere, dei saperi e delle conoscenze. Come Triennale Milano siamo convinti che la formazione generi percorsi virtuosi, e siamo felici di aprire un dialogo con un progetto straordinario come la Scuola di Alta Sartoria di Kiton, che unisce l’insegnamento di una professione alle aspirazioni dei giovani.”

Carla Morogallo, Direttrice Generale di Triennale Milano, ha aggiunto: “Triennale intende sviluppare progettualità e sinergie che agevolino la costruzione di percorsi qualificanti dal punto di vista professionale, con particolare attenzione al tema dei mestieri d’arte e dell’alta artigianalità. Nella moda la richiesta di lavori artigianali è elevatissima e si corre il rischio che un’intera generazione di creatori finisca per perdere le capacità tecniche, che rappresentano un aspetto determinante di questo settore. Riteniamo che sia fondamentale che le istituzioni, le aziende e le realtà del settore capiscano l’importanza di stimolare i giovani a investire in mestieri e competenze pratiche di cui il mercato avrà sempre bisogno.

Antonio De Matteis, CEO di Kiton, ha affermato: “Dall’anno 2000 Kiton punta sulla formazione, attraverso la creazione della Scuola di Alta Sartoria, voluta dal fondatore Ciro Paone per far apprendere ai giovani il mestiere del sarto, garantendo così continuità all’arte sartoriale e dando ai giovani uno stimolo per il loro futuro. Grazie all’impegno dedicato a questo progetto, nel corso degli anni abbiamo visto la nostra Scuola crescere, diventare un punto di riferimento per i giovani, e aprire nuove opportunità ai nostri diplomati sia all’interno dell’azienda, sia all’esterno, in altre realtà o con l’inizio attività proprie; questo rappresenta un forte motivo di orgoglio per Kiton perché significa che i giovani hanno capito l’importanza di imparare un mestiere per avere un futuro. Siamo onorati di collaborare con Triennale Milano, un’istituzione culturale che crede come noi nel valore della formazione e del capitale umano; grazie alla nostra partnership potremo dar voce a questo progetto e raccontare al meglio la nostra storia di eccellenza nel mondo, salvaguardando la nostra eredità culturale.”

La mostra Tailoring school. A journey into education offre ai visitatori la possibilità di approfondire il progetto della Scuola di Alta Sartoria di Kiton, che ha sede ad Arzano (Napoli) e che, alla fine di ogni corso, permette l’inserimento di venticinque giovani sarti nel mondo del lavoro. La collaborazione tra Triennale e Kiton vuole aprire una riflessione sull’importanza delle conoscenze artigianali: in un periodo in cui la sperimentazione tecnologica diventa realtà quotidiana e in cui si inizia a parlare concretamente di intelligenza artificiale a servizio dell’uomo, è fondamentale mantenere vive professionalità artigianali specifiche che, solo attraverso il passaggio generazionale, possono continuare a svolgere il ruolo chiave che oggi ricoprono in aziende leader di diversi settori. In questo senso la scuola diventa lo strumento essenziale che permette alle vecchie generazioni di trasmettere gli strumenti necessari per acquisire quelle professionalità artigianali che non possono essere sostituite dalla sola tecnologia. Inoltre, compito della scuola è anche affinare, educare e coltivare quelle doti naturali che lo studente che affronta questo percorso formativo deve possedere: “l’occhio e la mano”. 

La mostra ricostruisce una sala della Scuola di Alta Sartoriadove i visitatori possono vedere all’opera gli studenti della classe triennale 2022-2025, il 9° corso della storia della Scuola insieme ai maestri, durante una tipica giornata di formazione professionale. Un breve documentario racconta le attività della scuola, la sua storia, le sue potenzialità attraverso le voci di Antonio De Matteis, CEO di Kiton, e di Silverio Paone, Responsabile della produzione di Kiton. Sono inoltre presenti le interviste a Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, e Carla Morogallo, Direttrice Generale di Triennale Milano, sull’importanza della formazione nel settore dell’alto artigianato.

Alle pareti – a testimonianza dell’obbligatorietà del “fatto a mano”, DNA del brand Kiton – vengono esposti i ritratti fotografici di alcuni dei professionisti che lavorano nella manifattura napoletana, parte del progetto fotografico 1300 mani, realizzato da Luca Stoppini nel 2013 in occasione dell’inaugurazione della sede Kiton di Milano, che nei giorni di apertura della mostra si lega a Triennale con un immaginario “filo da imbastitura” per celebrare i veri protagonisti della moda italiana.

Durante le giornate di apertura della mostra vengono organizzate delle visite con alcune scuole del territorio, tra cui Politecnico di Milano, Istituto Marangoni, Scuola Cova, Istituto Istruzione Superiore Caterina da Siena Milano, I-crea Academy, Milano Fashion School, RCS Academy.


I Partner Istituzionali Lavazza Group e Salone del Mobile.Milano sostengono Triennale Milano anche per questa mostra.

 

"L'arte digitale? Non è solo la bolla degli Nft" - ilGiornale.it

"L'arte digitale? Non è solo la bolla degli Nft" - ilGiornale.it

Barcellona, al Museo dell'Arte Proibita scopri l'arte censurata

Barcellona, al Museo dell'Arte Proibita scopri l'arte censurata

Perché nelle opere d'arte greche i combattenti sono sempre nudi? - Focus.it

Perché nelle opere d'arte greche i combattenti sono sempre nudi? - Focus.it

Versace. La storia dell'iconica casa di moda. Ediz. illustrata di Laia Farran Graves (Il Castello)

 Versace racconta la storia dell'iconica casa di moda, dalla creazione ad opera di Gianni Versace allo status cult di oggi sotto la guida di Donatella. Con oltre 100 immagini di red carpet, capi chiave e sfilate stupefacenti, il libro è una favolosa raccolta di tutto ciò che è Versace.




Marco Schuler: Go! Go! Go! / Kunsthalle Darmstadt

venerdì 12 gennaio 2024

J.R.R. Tolkien. Artista e illustratore. Ediz. a colori di G. Hammond Wayne, Christina Scull (Bompiani)

 Una celebrazione del talento artistico di J.R.R. Tolkien attraverso la riproduzione di 200 opere tra pitture, acquerelli, disegni e schizzi.


J.R.R. Tolkien ha espresso il suo talento artistico più grande con le parole, ma si è cimentato anche con le immagini. Per lui infatti parole e immagini erano strettamente legate, e dai dipinti come dai disegni emerge tutta la sua forza mitopoietica: paesaggi, città, creature fantastiche, sotto i nostri occhi sfila di tutto, in alcuni casi per la prima volta. Se infatti i suoi libri sono stati letti da milioni di persone, alcune espressioni della sua arte sono poco note: accanto alle illustrazioni ormai iconiche legate allo Hobbit e al Signore degli Anelli, i curatori hanno raccolto qui anche le immagini che Tolkien ha realizzato per i suoi figli (in particolare per le Lettere da Babbo Natale e Mr. Bliss), esempi della sua calligrafia espressiva e i suoi contributi alla tipografia e al design dei suoi libri.



OGNI SABATO E DOMENICA PROSEGUONO LE VISITE GUIDATE ALLA SCOPERTA DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI RUDIAE A LECCE

 Proseguono le visite guidate nel Parco archeologico di Rudiae a Lecce: ogni sabato alle 15 e domenica alle 11 (ingresso 8/6 euro) il pubblico sarà accompagnato alla scoperta della città prima messapica (VII sec. a.C.) e poi romana (III sec. a.C.), nota soprattutto per aver dato i natali al padre della letteratura latina Quinto Ennio (239-169 a.C.). Gli scavi archeologici, avviati sin dalla seconda metà dell'ottocento grazie al Duca Sigismondo Castromediano con la direzione di Luigi De Simone, hanno riportato alla luce aree di necropoli, tombe ipogee scavate nella roccia, porzioni delle fortificazioni messapiche, oltre a tratti di strade basolate, luoghi di culto ed edifici pubblici di età romana. Al centro dell’insediamento si conserva l’Anfiteatro romano, costruito durante il regno dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.) e riportato alla luce recentemente. Lecce può vantare, infatti, due anfiteatri romani a distanza di pochi chilometri: quello di Lupiae in Piazza Sant'Oronzo, nel cuore della città, e quello dell'antica Rudiae, nelle campagne alle porte del capoluogo salentino sulla via per San Pietro in Lama. Durante le visite sarà ricordata anche la figura di Otacilia Secundilla, una giovane donna romana vissuta duemila anni fa che, con la sua opera filantropica ha donato le economie proprio per la costruzione dell’Anfiteatro. Rudiae è uno dei siti archeologici più importanti del Salento, oggi fruibile grazie al partenariato pubblico-privato per la promozione e valorizzazione stipulato tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi e Lecce e A.R.Va srl - spin off dell'Università del Salento, anche sulla base di un preventivo accordo tra la stessa Soprintendenza e il Comune di Lecce.  Info e prenotazioni parcoarcheologicorudiae.it


LA VISITA
Il percorso di visita di Rudiae prende avvio dall’area di Fondo Acchiatura. Qui è possibile visitare le strutture archeologiche messe in luce nel corso dei vecchi scavi degli anni ’50, ovvero le due strade basolate ortogonali, il luogo di culto e l’ipogeo ellenistico, al quale non è possibile accedere. Dopo aver visitato i resti archeologici di Fondo Acchiatura, il percorso prosegue sul lato nord dove un varco nel muro a secco consente un’affascinante veduta dall’alto dell’anfiteatro al quale si accede mediante una rampa di scale in acciaio situata in corrispondenza dell’ingresso sud del monumento; il sito è parzialmente fruibile anche per persone con disabilità motoria, poiché è presente un percorso semi-sterrato lungo il lato est che, attraverso una rampa in terra, permette di scendere nell’anfiteatro dall’ingresso nord. La visita, supportata dal virtual tour su tablet e da pannelli con foto, ricostruzioni virtuali e illustrazioni grafiche, permetterà di scoprire tutte la fasi di vita e monumentalizzazione dell’area, a partire dall’Età messapica, quando fu realizzata la cisterna (lacus) per la raccolta delle acque meteoriche, fino ad arrivare alla costruzione dell’anfiteatro nei primi anni del II sec. d.C., durante il regno di Traiano. In seguito, si risale dalla rampa in terra e da lì si percorre la stradina perimetrale che consente una vista stupenda del settore ovest, dove è possibile osservare la stratificazione delle strutture del lacus, dell’anfiteatro e del muretto a secco ottocentesco, impreziosita dalla presenza degli ulivi. Oltre agli aspetti archeologici, il sito, distante dall’inquinamento acustico della città, è caratterizzato da un silenzio suggestivo, interrotto solo dal frinire delle cicale, e dagli aromi delle presenze botaniche mediterranee (timo, rucola a fiori bianchi, orchidee, ecc.), in grado di sviluppare molteplici percezioni sensoriali.

ARCHEOLOGIA A RUDIAE
Rudiae fu descritta già nel XVI secolo da Antonio De Ferraris, meglio noto con il nome di Galateo, il quale, nel Liber de Situ Japigiae (1558), denunciò per primo le distruzioni provocate nell’area archeologica dai lavori agricoli. Il luogo rimase a lungo in stato di abbandono e fu oggetto di ritrovamenti sporadici sino alla seconda metà dell’800, allorché, con l’istituzione della ‘Commissione Conservatrice dei Monumenti Storici e di Belle Arti di Terra d’Otranto’, il duca Sigismondo Castromediano promosse alcune campagne di scavo dirette da Luigi De Simone (1869-1875). Le indagini portarono alla luce alcuni ipogei, numerose tombe, ceramiche figurate di produzione attica e italiota ed epigrafi messapiche e romane, che andarono a formare il nucleo principale del Museo Provinciale di Lecce, costituito nel 1868 su volontà del Castromediano. Tra il 1957 e il 1959, la Soprintendenza alle Antichità condusse due campagne di scavo proprio in questo settore. Le indagini condotte sul campo da Giovanna Delli Ponti riportarono alla luce due ipogei ellenistici, tratti di strade basolate ed edifici monumentali di età repubblicana. Nel 1970 la zona compresa entro il limite delle mura messapiche fu sottoposta a vincolo archeologico per favorirne la tutela, senza che ciò comportasse, però, un programma di indagini sistematiche. Alla metà degli anni ’80 venne presentata al Ministero la proposta d’esproprio di Fondo Acchiatura e con la successiva acquisizione venne istituito il parco archeologico di Rudiae. Negli ultimi due decenni, le indagini topografiche realizzate dal Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento hanno consentito la redazione della carta archeologica del sito. A partire dal 2011 si è effettuato lo scavo dell’anfiteatro di Rudiae, in collaborazione tra Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto e Comune di Lecce, in un’area dell’insediamento messapico acquisita di recente dall’Amministrazione comunale, grazie ad un finanziamento PRUSST. Le ricerche hanno messo in luce quasi interamente l’anello perimetrale del monumento, i corridoi radiali (vomitoria) che dividevano la cavea in cunei e parte delle sostruzioni sulle quali poggiavano le file di sedili. Sempre nel 2011, nell’ambito del progetto di valorizzazione promosso dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia, sono stati condotti saggi di scavo nel settore nord-occidentale della cinta muraria di Rudiae. Gli scavi hanno interessato un tratto del fossato esterno e della possente fortificazione messapica, foderata sia verso l’interno che verso l’esterno da strutture murarie in opera quadrata con blocchi di calcare, per uno spessore complessivo di ca. 8 m. Lo scavo dell’anfiteatro è ripreso a partire dal novembre 2014 sino al settembre del 2015, con finanziamenti POIn FESR 2007-2013 (Valorizzazione delle aree di attrazione culturale – Linea 1), ed ha permesso di riportare in luce la metà sud dell’edificio da spettacolo sino al livello dell’arena. Tra il 2016 e il 2017, il nuovo progetto di recupero e valorizzazione dell’area archeologica di Rudiae, finanziato con fondi FSC 2007/2013, ha consentito di riportare alla luce il settore settentrionale del monumento e di effettuare un primo intervento conservativo delle strutture murarie, oltre al riposizionamento in situ di alcuni blocchi. Le attività sul campo, con il coordinamento scientifico di Francesco D’Andria, dirette dagli architetti Enrico Ampolo e Roberto Bozza, sono state effettuate dalle imprese Nicolì SpA (2014-2015) e De Marco SRL-Lithos SRL (2016-2017), con l’assistenza archeologica della società Archeologia Ricerca e Valorizzazione SRL (A.R.Va), spin-off dell’Università del Salento.
 
Il Parco Archeologico di Rudiae dista da Lecce circa 3 km in direzione sud-ovest. L’ingresso al Parco, dotato di un parcheggio interno nell’area di Fondo Acchiatura, è situato in Via A. Mazzotta (40°19'55.6" N 18°08'46.3" E), di fronte all’IISS Presta Columella. Per la visita (della durata di circa un'ora) si consigliano scarpe comode, copricapo/cappellino e acqua.
 
Facebook, Instagram, YouTube
@parcoarcheologicorudiae

Per info e prenotazioni
3491186667 - 3495907685



Arte e ambiente, una mostra a Rivoli

Arte e ambiente, una mostra a Rivoli

Le opere d'arte si trasformano in musica - Radio Monte Carlo

Le opere d'arte si trasformano in musica - Radio Monte Carlo

Tour in Normandia tra arte e natura nella luce di maggio- Corriere.it

Tour in Normandia tra arte e natura nella luce di maggio- Corriere.it

Firenze si prepara alla grande mostra di Anselm Kiefer | Sky Arte

Firenze si prepara alla grande mostra di Anselm Kiefer | Sky Arte

Dalla Sicilia a Praga per insegnare storia dell'arte: il viaggio di Flavio - La Sicilia

Dalla Sicilia a Praga per insegnare storia dell'arte: il viaggio di Flavio - La Sicilia

Artika, immersive art exhibition: l'arte che cattura la magia del ghiaccio

Artika, immersive art exhibition: l'arte che cattura la magia del ghiaccio

Artur Zmijewski: Against / Galerie Peter Kilchmann, Zürich