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giovedì 22 maggio 2025

EPIGENETIC POETRY: GIOVANNI FONTANA intervento di Donato Di Poce

 Giovanni Fontana, (Poeta epigenetico, Performer, Architetto, Artista) in breve un poliartista, militante del gesto creativo umanizzante, molto creAttivo, vive ad Alatri (FR), ma ha girato e respirato il mondo con la sua Arte e Poesia. Le sue performance sonore e verbovisive sono note in tutto il mondo, ha conosciuto di persona miti della poesia contemporanea e teorici d’arte e della poesia totale (sua l’opera su A. Spatola, OPERA, Dia.Foria Edizioni).

 In un’intervista del 2022 così rispondeva a una domanda sulla necessità della performnace e della voce verso una poesia totale:

“La finalità è quella di garantire al gesto creativo la sua integrità. In questo senso il superamento delle barriere disciplinari è una necessità. Ormai costituisce una pratica ampiamente applicata, non solo nel mondo dell’arte. D’altra parte sappiamo bene che caratterizzava già la poesia delle origini, dove la parola sostenuta dalla voce, la musica, la danza e le relazioni con il pubblico definivano un evento totalizzante. Ma il concetto di “poesia totale”, così come espresso dal poeta Adriano Spatola, si spingeva oltre il semplice superamento degli ambiti disciplinari, procedendo verso forme sempre più aperte alla collaborazione con il pubblico.”

Del resto i suoi contatti personali con A. Spatola e gli artisti della poesia visiva e fluxus, risalgono agli anni ’60. Già nel 1977 A. Spatola scriveva a proposito della poesia di Fontana splendide parole:

“LE SCRITTURE DI GIOVANNI FONTANA

Il fatto è che la trascrizione segnica di un universo verbale comporta un ulteriore dato che Fontana ha saputo utilizzare perfettamente: si tratta di una variabile, ossia di un adeguamento grafico alle varie presenze della parola come immagine, o dell'immagine come parola/segno. Tale adeguamento grafico segue l'andamento dei significati, naturalmente non soltanto per esaltarli ma anche per contraddirli, e si snoda di pagina in pagina lungo un percorso irto di ostacoli, di tergiversazioni che a volte è facile enucleare dal contesto e a volte invece si stemperano nel mare magno dell'accumulazione linguistica che è poi, in trasparenza, la sconnessa filigrana del testo. Se pensiamo alla pagina come al frammento di un corpus esposto a una dissertazione filologica inesauribile, maniacale, vediamo che il suo esserci in superficie rende vitale il suo esserci in profondità, e che i due stati di esistenza possono confluire tanto nel verbum che nel signum: i frammenti sono nel primo caso elementi costitutivi di una concatenazione di apparenze logiche (il discorso come argomentazione), nel secondo caso invece si costruiscono in uno spazio vuoto, astratto, che è anche mentale. Fontana lavora dentro questo spazio a più dimensioni (non si tratta dunque soltanto dello spazio bidimensionale della carta) proprio in quanto tiene presente l'insoddisfazione dell'orecchio rispetto all'occhio, ovviamente sempre privilegiato nel caso di un testo visuale. Il che non vuol dire che il poema/partitura ha esigenze irrinunciabili, tra le quali non esiterei a collocare una eventuale sonorizzazione, sempre ammesso che tale sonorizzazione fosse in grado di rispettare non soltanto il procedimento di notazione (e cioè l'analisi grafica del materiale linguistico) ma anche la tessitura dei significati, questa volta considerati in sé, quasi indipendenti dal segno. La contraddizione non è affatto casuale, anzi si spiega benissimo ricorrendo di nuovo al concetto di discorso parlato, e di "lettura parlata". ADRIANO SPATOLA, 1977.

Altri autorevoli protagonisti della poesia visiva  e concreta come Arrigo Lora Totino, hanno subito evidenziato l’originalità innovativa di Fontana: “ Sia in Radio/Dramma che nel recente Le lamie del labirinto, Giovanni Fontana immerge una sorta di monologo interiore in un denso ambiente fono-visuale. La voce dell’io si perde e si ritrova nella labirintica babele dei segni, dramma opprimente dello smarrimento in una selva “culta” che ti ghermisce d’ogni lato con richiami storici e protostorici. ARRIGO LORA TOTINO 1984

 e Paul Zumthor : “E' così che si può, con Giovanni Fontana, assicurare che la poesia non solo è con la voce e nella voce, ma dietro la voce, all'interno del proprio corpo, da dove vengono dominati il canto, i sospiri, i soffi, gli ansiti e tutto ciò che, al di qua e al di là del dire, è segnale dell’inesprimibile, coscienza primordiale dell'esistenza. Giovanni Fontana parla in questo senso di poesia dilatata…” Paul Zumthor, 1990, o Eugenio Miccini: “Giovanni Fontana, delle cui "poesie sonore" mi sono altre volte occupato, ha fatto spesso incursioni in quel territorio, appunto, della "poesia visiva" con la competenza e l'eleganza dell'architetto e del grafico che manipola e combina scritture e immagini. Questi suoi Paysages sono la prova di una tensione o di una convergenza fra codici eterogenei, che lui stesso designa, con una varia e sintomatica nomenclatura, come "sensi confusi", qui proprio nel senso di fusi insieme, "frontiera", "incroci", "confini", "inganni" [...]. EUGENIO MICCINI, 1996.

Fontana ha raccolto gli stimoli della poesia visiva, sonora e totale e sembra andare oltre… Il poeta si trasforma, in poliartista, creAttivo, intermediale, epigenetico: utilizzando tutte le tecniche, tutti i supporti, tutti gli spazi, senza rinunciare a ricondurre all’àmbito creativo il suo stesso corpo, quindi il suo gesto e la sua voce. Il poeta poliartista si appropria delle pratiche elettroniche, videografiche, del cinema, della fotografia, dell’universo sonoro (oltre la musica), della dimensione teatrale (oltre il teatro), dell’universo ritmico. Agisce poieticamente, dando luogo a una nuova energia creAttiva, innestando, contaminando il testo che diventa una partitura teatrale, la dizione diventa azione, la poesia va oltre il corpo e il testo, la voce e l’immagine.

In un suo testo teorico, Fontana mette a fuoco la sua poetica multiprospettica, danzante, energetica. Stiamo parlando di La poesia epigenetica: Urtext in espansione. Manifesto su testi, voci e luoghi dell’azione poetica in cui tra l’atro, l’autore scrive: “…non si può non considerare, in poesia, il valore della vocalità, che ha il potere di innescare istantaneamente nel momento performativo le vampe melopeiche, logopeiche e fanopeiche, ma secondo livelli variabilmente sovrapposti e talora fortemente distanti. È infatti la voce, come corpo dinamico, che in forma, con-forma, configura la poesia nello spazio-tempo”.

Epigenetico è un attributo che proviene dalla biologia e indica le mutazioni cellulari che non alterano la struttura. Poesia epigenetica è dunque quella che utilizza il testo-base in modo fluido, sottoponendolo di volta in volta a interventi singolari, al modo di una partitura, di un pre-testo che deve essere investito e proprio “innervato” da tutta la corporeità del poeta, concentrata in particolare nell’uso della voce. Le sue performance sonore/visive/poetiche vanno oltre persino le deliranti, visionarie identificazioni recitative di Carmelo Bene, i suoi testi diventano pre-testi Creattivi che recuperano scarti di parole e di visioni. Il suo corpo è un corpo vivo e denso che parla e agisce sensi e dissensi, visioni e segni oralità e silenzio, il corpo macchina creattiva che diventa artificiere di sensi, di scarti, di singhiozzi dell’umanità, insomma lo avete capito un vero grande rivoluzionario della poesia Internazionale sperimentale, tra i pochi a saper realizzare un’opera intermediale, plurale e d’azione.

Della sua sterminata bibliografia voglio ricordare e segnalare tre libri:

·       Giovanni Fontana, un classico d’avanguardia a cura di Patrrizio Peterlini e Lello Voce, Agenzia x 2022.

·       Il Corpo Denso, Giovanni Fontana, Campanotto Editore, 2021.

·       Controcanti, Fontana, Molesini Editore Venezia, 2024




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