Giovanni Fontana, (Poeta epigenetico, Performer, Architetto, Artista) in breve un poliartista, militante del gesto creativo umanizzante, molto creAttivo, vive ad Alatri (FR), ma ha girato e respirato il mondo con la sua Arte e Poesia. Le sue performance sonore e verbovisive sono note in tutto il mondo, ha conosciuto di persona miti della poesia contemporanea e teorici d’arte e della poesia totale (sua l’opera su A. Spatola, OPERA, Dia.Foria Edizioni).
In un’intervista del 2022 così rispondeva a
una domanda sulla necessità della performnace e della voce verso una poesia
totale:
“La finalità è quella di
garantire al gesto creativo la sua integrità. In questo senso il superamento
delle barriere disciplinari è una necessità. Ormai costituisce una pratica
ampiamente applicata, non solo nel mondo dell’arte. D’altra parte sappiamo bene
che caratterizzava già la poesia delle origini, dove la parola sostenuta dalla
voce, la musica, la danza e le relazioni con il pubblico definivano un evento
totalizzante. Ma il concetto di “poesia totale”, così come espresso dal poeta
Adriano Spatola, si spingeva oltre il semplice superamento degli ambiti
disciplinari, procedendo verso forme sempre più aperte alla collaborazione con
il pubblico.”
Del resto i suoi contatti
personali con A. Spatola e gli artisti della poesia visiva e fluxus, risalgono
agli anni ’60. Già nel 1977 A. Spatola scriveva a proposito della poesia di
Fontana splendide parole:
“LE SCRITTURE DI GIOVANNI
FONTANA
Il fatto è che la
trascrizione segnica di un universo verbale comporta un ulteriore dato che
Fontana ha saputo utilizzare perfettamente: si tratta di una variabile, ossia
di un adeguamento grafico alle varie presenze della parola come immagine, o
dell'immagine come parola/segno. Tale adeguamento grafico segue l'andamento dei
significati, naturalmente non soltanto per esaltarli ma anche per contraddirli,
e si snoda di pagina in pagina lungo un percorso irto di ostacoli, di
tergiversazioni che a volte è facile enucleare dal contesto e a volte invece si
stemperano nel mare magno dell'accumulazione linguistica che è poi, in
trasparenza, la sconnessa filigrana del testo. Se pensiamo alla pagina come al
frammento di un corpus esposto a una dissertazione filologica inesauribile,
maniacale, vediamo che il suo esserci in superficie rende vitale il suo esserci
in profondità, e che i due stati di esistenza possono confluire tanto nel
verbum che nel signum: i frammenti sono nel primo caso elementi costitutivi di
una concatenazione di apparenze logiche (il discorso come argomentazione), nel
secondo caso invece si costruiscono in uno spazio vuoto, astratto, che è anche
mentale. Fontana lavora dentro questo spazio a più dimensioni (non si tratta
dunque soltanto dello spazio bidimensionale della carta) proprio in quanto
tiene presente l'insoddisfazione dell'orecchio rispetto all'occhio, ovviamente
sempre privilegiato nel caso di un testo visuale. Il che non vuol dire che il
poema/partitura ha esigenze irrinunciabili, tra le quali non esiterei a
collocare una eventuale sonorizzazione, sempre ammesso che tale sonorizzazione
fosse in grado di rispettare non soltanto il procedimento di notazione (e cioè
l'analisi grafica del materiale linguistico) ma anche la tessitura dei significati,
questa volta considerati in sé, quasi indipendenti dal segno. La contraddizione
non è affatto casuale, anzi si spiega benissimo ricorrendo di nuovo al concetto
di discorso parlato, e di "lettura parlata". ADRIANO SPATOLA, 1977.
Altri autorevoli
protagonisti della poesia visiva e
concreta come Arrigo Lora Totino, hanno subito evidenziato l’originalità
innovativa di Fontana: “ Sia in Radio/Dramma che nel
recente Le lamie del labirinto, Giovanni Fontana immerge una sorta di
monologo interiore in un denso ambiente fono-visuale. La voce dell’io si perde
e si ritrova nella labirintica babele dei segni, dramma opprimente dello
smarrimento in una selva “culta” che ti ghermisce d’ogni lato con richiami
storici e protostorici. ARRIGO LORA TOTINO 1984
e Paul Zumthor
: “E' così che si può, con Giovanni Fontana, assicurare che la poesia non
solo è con la voce e nella voce, ma dietro la voce, all'interno del proprio
corpo, da dove vengono dominati il canto, i sospiri, i soffi, gli ansiti e
tutto ciò che, al di qua e al di là del dire, è segnale dell’inesprimibile,
coscienza primordiale dell'esistenza. Giovanni Fontana parla in questo senso di
poesia dilatata…” Paul Zumthor, 1990, o Eugenio
Miccini: “Giovanni Fontana, delle cui "poesie sonore" mi sono
altre volte occupato, ha fatto spesso incursioni in quel territorio, appunto,
della "poesia visiva" con la competenza e l'eleganza dell'architetto
e del grafico che manipola e combina scritture e immagini. Questi
suoi Paysages sono la prova di una tensione o di una convergenza fra
codici eterogenei, che lui stesso designa, con una varia e sintomatica
nomenclatura, come "sensi confusi", qui proprio nel senso di fusi
insieme, "frontiera", "incroci", "confini",
"inganni" [...]. EUGENIO MICCINI, 1996.
Fontana ha raccolto gli
stimoli della poesia visiva, sonora e totale e sembra andare oltre… Il poeta si
trasforma, in poliartista, creAttivo, intermediale, epigenetico:
utilizzando tutte le tecniche, tutti i supporti, tutti gli spazi, senza
rinunciare a ricondurre all’àmbito creativo il suo stesso corpo, quindi il suo
gesto e la sua voce. Il poeta poliartista si appropria delle pratiche
elettroniche, videografiche, del cinema, della fotografia, dell’universo sonoro
(oltre la musica), della dimensione teatrale (oltre il teatro), dell’universo
ritmico. Agisce poieticamente, dando luogo a una nuova energia creAttiva,
innestando, contaminando il testo che diventa una partitura teatrale, la
dizione diventa azione, la poesia va oltre il corpo e il testo, la voce e
l’immagine.
In un suo testo teorico,
Fontana mette a fuoco la sua poetica multiprospettica, danzante, energetica.
Stiamo parlando di La poesia epigenetica: Urtext in
espansione. Manifesto su testi, voci e luoghi dell’azione poetica in
cui tra l’atro, l’autore scrive: “…non si può non considerare, in poesia, il
valore della vocalità, che ha il potere di innescare istantaneamente nel
momento performativo le vampe melopeiche, logopeiche e fanopeiche, ma secondo
livelli variabilmente sovrapposti e talora fortemente distanti. È infatti la
voce, come corpo dinamico, che in forma, con-forma, configura la poesia nello
spazio-tempo”.
Epigenetico è
un attributo che proviene dalla biologia e indica le mutazioni cellulari che
non alterano la struttura. Poesia epigenetica è dunque quella che utilizza il
testo-base in modo fluido, sottoponendolo di volta in volta a interventi
singolari, al modo di una partitura, di un pre-testo che deve essere investito
e proprio “innervato” da tutta la corporeità del poeta, concentrata in particolare
nell’uso della voce. Le sue performance sonore/visive/poetiche vanno oltre
persino le deliranti, visionarie identificazioni recitative di Carmelo Bene, i
suoi testi diventano pre-testi Creattivi che recuperano scarti di parole e di
visioni. Il suo corpo è un corpo vivo e denso che parla e agisce sensi e
dissensi, visioni e segni oralità e silenzio, il corpo macchina creattiva che
diventa artificiere di sensi, di scarti, di singhiozzi dell’umanità, insomma lo
avete capito un vero grande rivoluzionario della poesia Internazionale
sperimentale, tra i pochi a saper realizzare un’opera intermediale, plurale e
d’azione.
Della sua sterminata
bibliografia voglio ricordare e segnalare tre libri:
· Giovanni
Fontana, un classico d’avanguardia a cura di Patrrizio Peterlini e Lello Voce,
Agenzia x 2022.
· Il
Corpo Denso, Giovanni Fontana, Campanotto Editore, 2021.
· Controcanti,
Fontana, Molesini Editore Venezia, 2024

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